Cultura
QuellItalia da zero in condotta
Riflessione sull'Italia delle contraddizioni dalla Lega che si accanisce contro gli immigrati, agli imprenditori che vogliono braccia.
La Lega, da forza politica che rappresentava i problemi, è diventata un soggetto che, per sopravvivere, deve alimentarli». Lo dice a Vita Ilvo Diamanti, uno dei più acuti e spregiudicati osservatori dell?Italia di oggi. I sintomi sono tanti. Uno, in particolare, ci colpisce drammaticamente: l?accanimento contro i clandestini e gli immigrati, un accanimento che, nel silenzio generale, sta legittimando l?abituale ricorso a mezzi indegni di un Paese civile.
Ma come ci spiega Diamanti, il problema, se c?è, è esattamente opposto: «La Lega è ferma all?intolleranza razziale, mentre gli imprenditori chiedono braccia, il governo soldati di colore, e gli anziani assistenza». Un provvedimento passato in sordina ha persino contingentato le case popolari destinate agli stranieri (e qui non stiamo parlando di clandestini?). Ma è una politica, oltre che disumana, assolutamente miope. L?Italia è il Paese d?Europa con il tasso di natalità più basso.
Le proiezioni dei demografi dicono che se la curva continuerà così, nel 2050 saremo 20 milioni in meno.
E se non bastano i demografi a condannare, con la logica inesorabile dei numeri, una politica cieca, è arrivata anche la condanna morale dell?Onu. L?Alto commissariato per i rifugiati ha infatti ufficialmente chiesto che la legge sull?immigrazione venga rivista almeno nelle norme che regolano il diritto d?asilo, così da garantire gli «standard minimi di tutela dei diritti». Insomma, anche l?Onu ci frusta.
Zero in condotta alla Lega (e al governatore della Regione Veneto, Galan) anche per il comportamento sulla questione delle fondazioni. Il decreto Tremonti, con una strana logica partitocratica che in teoria non dovrebbe rientrare in quella di un governo delle libertà, ha rivisto la composizione degli organi di indirizzo delle fondazioni bancarie, assegnando un ruolo decisivo agli enti locali. Il testo del regolamento prevedeva un 66%, che già metteva fuori gioco il ruolo della società civile. La Lega ha rimescolato le carte pretendendo il 75%, con un calcolo non proprio disinteressato: assegnare più peso a Province e Comuni rispetto anche alle Regioni, in modo da garantirsi un controllo blindato di queste casseforti. Un appetito contro il quale ha dovuto uscire allo scoperto persino Ciampi che, incontrando i vertici del Fai, ha espresso un giudizio che non si presta a troppe interpretazioni: «La presenza degli esponenti della società civile nei consigli delle fondazioni è la migliore espressione del localismo». Chi lo ascolterà?
Zero in condotta, e ce ne dispiace, anche alla Comunità di Sant?Egidio, che ammiriamo incondizionatamente per la sua opera sociale, in difesa dei poveri a ogni latitudine (ve ne parleremo sul prossimo numero di Vita). Ma gli amici questa volta si sono resi protagonisti di una scelta sconcertante: proporre una Fondazione per la pace, finanziata da numerosi soggetti privati, alcuni dei quali con la pace hanno per lo meno qualche conto aperto. Amici, era proprio necessario lavare l?anima di Finmeccanica (che vuol dire Alenia, Agusta, Elsag, cioè mezza industria italiana delle armi) proprio mentre la società civile insorge contro il colpo di mano per azzerare la legge 185? Era proprio necessario imbarcare banche che l?annuale relazione parlamentare mette in prima linea per le transazioni sul commercio delle armi? Ci aspettiamo, come non può non essere nel vostro stile, una pronta marcia indietro.
A proposito: un dieci e lode lo meritano i tantissimi che hanno inondato il sito di Vita con la loro adesione alla campagna per difendere la legge 185. In questi tempi di girotondi e di rastrellamenti, è davvero un?incredibile, buona notizia.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.